Il nostro Bel Paese è afflitto da mille problemi economici, di ordine pubblico, di immigrazione mal gestita che, da potenziale risorsa e connotazione delle società future, diventa invece spina al fianco delle tante comunità sociali coinvolte sul nostro territorio. Una disoccupazione, inoltre, che non stenta a diminuire, infatti ad oggi i disoccupati in Italia sono circa tre milioni e la stragrande maggioranza di essi sono prevalentemente giovani (dati Istat 2016). In questo quadro, non proprio ottimistico, si deve purtroppo aggiungere il rischio territorio anzi, i rischi del territorio, tutti presenti; sismico, idraulico, idrogeologico, vulcanico e, ciliegina sulla torta, anche antropico! Da addetto ai lavori, di funzionario del Dipartimento della Protezione Civile dal 1990 e sociologo delle emergenze di massa, sento la necessità di condividere delle riflessioni su questo attuale argomento avendo il privilegio, se cosi possiamo chiamarlo, di aver vissuto certe esperienze emergenziali da un osservatorio particolare. La protezione civile come presa di coscienza politico-sociale nasce istituzionalmente come Ministero senza portafoglio, negli anni 81 /82. La sua costituzione è segnata dall’esperienza vissuta attraverso due emergenze, il terremoto dell’Irpinia e il malaugurato incidente del piccolo Alfredino Rampi in località Vermicino nei pressi della Capitale. Due eventi molto diversi tra di loro; l’evento sismico dell’Irpinia del 23 novembre del 1980 che causò circa 280.000 sfollati, 8.848 feriti e 2.914 morti, e il piccolo Alfredo Rampi detto Alfredino, bambino di appena sei anni, caduto in un pozzo artesiano il 10 giugno 1981.
Il Servizio Nazionale della protezione civile (Legge n.225/92) di cui il Dipartimento fa parte come istituzione governativa centrale avente funzioni di coordinamento e indirizzo, è un sistema complesso che vede da un lato le componenti del sistema; Stato, Regioni, Province, Comunità Montane, Comunità Scientifica e Comuni e dall’altro le così dette Strutture Operative; Vigili del Fuoco, Organizzazioni di Volontariato di protezione civile, la Croce Rossa Italiana, le Forze dell’Ordine, il Corpo Forestale dello Stato, l’Esercito, la Marina l’Aeronautica ecc. Non voglio immergermi in una disamina normativa della Legge 225 del 1992 che, appunto, istituisce il Servizio Nazionale della protezione civile ma tenterò di illustrare il modus operandi di questa macchina che, è giusto sottolinearlo, ci invidia tutto il Mondo.
Il suo funzionamento è all’insegna del principio di sussidiarietà tra le sue componenti, Comune, Provincia, Regione, Stato e dalla condivisione delle diverse professionalità e risorse che scendono in campo. L’obiettivo finale è la salvaguardia delle vite umane, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente.
Nè più e nè meno come un orchestra musicale, ogni elemento suona con un diverso strumento ma tutti contribuiscono a produrre un’unica armonica sinfonia.
Cosi è successo negli anni ‘80 con le due emergenze menzionate precedentemente e cosi è continuato ad accadere nel tempo per tutti gli altri eventi che si sono susseguiti.
La protezione civile nasce e cresce con le emergenze.
Le sue attività fondamentali sono sostanzialmente quattro: previsione, prevenzione, gestione dell’emergenza e ripristino della normalità. E’ con la prevenzione che ci giochiamo il futuro. Abbiamo dimostrato di saper gestire l’emergenza, basti pensare al sisma dell’Aquila del 2009, dove un capoluogo di Regione è caduto in ginocchio e dove nell’arco temporale di una settimana sono state realizzate circa 180 aree di accoglienza per la popolazione. Il terremoto dell’Emilia nel 2012, quest’ultima recente emergenza nel Centro Italia del 24 agosto e, praticamente in diretta mentre scrivo questo articolo, il sisma di ieri 26 ottobre con lo stesso cratere del 24 ottobre ma fortunatamente senza vittime. Ordinarietà dell’emergenza certamente.
Dobbiamo renderci conto che l’emergenza nel nostro Paese è l’ordinarietà e con essa dobbiamo abituarci a convivere.
Il rischio non è totalmente eliminabile ma abbiamo la possibilità, anzi il dovere, di limitarne gli effetti. Siamo stanchi di contare vittime! Il terremoto di per sè non uccide, si muore perché ci cadono addosso le mura, i solai, di costruzioni realizzate con tecniche obsolete e che necessiterebbero di interventi di messa in sicurezza. Senza parlare poi delle costruzioni più recenti ideate senza osservare i criteri anti sismici. Non abbiamo certamente la panacea risolutiva contro i rischi naturali o indotti dall’uomo, ma di certo è provato che se adottiamo le giuste politiche di prevenzione, riusciamo a ridurre sensibilmente le conseguenze negative dell’emergenza. Anche se negli ultimi decenni molti passi in avanti sono stati fatti ciò che fondamentalmente ancora manca è una cultura di protezione civile. Una cultura basata sulla consapevolezza che il territorio dove viviamo e sul quale ogni giorno poggiamo i nostri piedi è interessato da un particolare rischio e con il quale dobbiamo convivere e dal quale dobbiamo proteggerci. Non dobbiamo e non possiamo dimenticarci che abbiamo il dovere di difendere quel dono dal valore inestimabile che si chiama vita umana; dobbiamo farlo per noi e soprattutto per le generazioni future. Detto ciò spero di aver contribuito a chiarire in qualche modo che la protezione civile, questa materia giovane e complessa, è un Servizio, un servizio chiamato ad affrontare con tutti i suoi attori le emergenze che quotidianamente interessano il nostro territorio, con l’auspicio che la cultura di protezione civile e la sua essenza, la prevenzione, raggiunga una piena consapevolezza collettiva e una forte desiderabilità sociale.
Roma li 27 ottobre 2016
Il Vice Presidente Emergens
Antonio Salpietro